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Sognando l'Africa in Sol maggiore  

Recensione  

Ci sono tanti modi di vedere l’Africa. Attraverso gli occhi di un turista venuto con la promessa di safari e tramonti mozzafiato, di un prete missionario, o di un imprenditore a caccia di materie prime e manodopera a basso costo. Eppure l’impressione è che l’Africa sia difficile da spiegare. Quasi impossibile. Troppe le contraddizioni. Troppe le sfumature tra povertà e ricchezza, tra religione e paganesimo, natura e mistero. Il Continente più antico del mondo resta inafferrabile, impalpabile. Come fosse un sogno.  

Ed è da questa certezza, l’unica, che parte Michelangelo Bartolo, con “Sognando l’Africa in sol maggiore”.  Cioè dall’idea che il continente più antico del mondo può essere sì vissuto, ma non spiegato. Allora, per ridurre lo scarto che separa l’autore dal lettore, Bartolo inizia con una scelta narrativa precisa: la forma del diario. Consegna ai lettori la sua umile esperienza soggettiva. Nessun trattato di antropologia. Nessun saggio in terza persona. I suoi occhi sono quelli del medico partito per diffondere un programma di telemedicina in grado di migliorare le condizioni di salute di decine di migliaia di persone malate di Aids. Ma sono anche gli occhi di un cittadino italiano e di un uomo qualunque, catapultato in una realtà estranea alla sua, che passa da un hotel all’altro, dalla Tanzania al Kenia, attraverso strade polverose, tassisti imbroglioni, voli a basso costo, rituali pagani, malati moribondi. Un viaggio tra l’Inferno e il Paradiso di un’umanità brulicante e misteriosa. 

Il risultato è uno straordinario microcosmo, tratteggiato in uno stile semplice e autoironico, ricco di accurate e colorite parti descrittive, senza i fronzoli e gli stereotipi che la narrazione occidentale ci ha dato dell’Africa.  Tanto che lo scopo originario del viaggio – quello reale, del medico – passa in secondo piano (per quanto quello scopo sia nobile, autentico). Prima di tutto viene l’esperienza umana, la testimonianza profonda del servizio dell’autore-medico, a fianco dei più vulnerabili e dei più deboli. Degli ultimi.  

E così, alla fine, l’autore ci riesce. Anche chi quel Continente non l’ha conosciuto, viaggiando tra le pagine del romanzo, può toccarlo con mano, può tuffarsi, almeno per un attimo, negli stupendi, sofferti scenari rappresentati, respirando emozioni intense e vivendo attraverso gli occhi dell’autore le medesime situazioni. Soprattutto può misurarsi, grazie all’autore, con le forti contraddizioni di un territorio segnato da insanabili ingiustizie ma traboccante di fascino e vitalità. Lontanissimo anni luce dalla nostra realtà, dove si muore facilmente per malattie da noi facilmente curabili. Un universo – umano e sociale - da cui ricominciare a credere e a sognare. 

Maria Esposito Vulgo Gigante v

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