top of page

Famiglia Cristiana - Articolo di Paolo Perazzolo

Alla presentazione del libro, Andrea Camilleri ha manifestato subito i suoi timori: Africa, Aids, bambini, povertà: oddio, quanta angoscia... Poi "svelava il trucco": niente di tutto questo o, meglio, tutto questo, sì, ma raccontato con ironia, leggerezza, un sentimento positivo e ottimistico, tanto che la lettura diverte, fa versare qualche lacrimuccia e - ciò che più preme all'autore - insegna che tutti, nella nostra normalità e ordinarietà, possiamo fare molto per gli altri.

Michelangelo Bartolo, 48 anni, prima che l'Africa "sconvolgesse" la sua vita era un angiologo all'Ospedale San Giovanni di Roma. «Facevo i turni di ambulatorio e di guardia medica, conducevo ricerche sulla microcircolazione, frequentavo congressi... Ero un po' un medico in carriera, anche perché figlio d'arte: mio padre è il fondatore dell'angiologia in Italia», racconta. «In più, frequentavo, da quando avevo 15 anni, la Comunità di Sant'Egidio». Lì alcuni amici e colleghi gli proposero di prendere parte a Dream, il programma della Comunità di prevenzione e terapia contro l'Aids in Africa. E lui? «Non sapevo nulla di Aids, esitai, ma sentivo che l’invito del Vangelo di andare incontro al fratello malato mi riguardava, tanto più che ero medico».
Così partì, e fu la prima di una serie di missioni, dalle quali è scaturito il romanzo La nostra Africa, un piccolo caso editoriale: uscito dapprima in formato elettronico, si è segnalato in alcuni premi, fino alla pubblicazione in versione cartacea da parte di Gangemi. Intuizione felice, grazie al passaparola, vende e ha appena vinto il concorso letterario Mario Soldati 2012.

La chiave e il punto di forza del romanzo è, come segnalava Camilleri, di raccontare l'Africa con ironia e leggerezza, pur senza nascondere in nulla gli aspetti critici e drammatici. Come il protagonista, anche Michelangelo Bartolo vive una trasformazione, a contatto con la realtà africana. «Pensavo di andarci una sola volta, la mia vita era già abbastanza complicata, avevo un figlio piccolo... Dall'incontro con le persone, le storie, le ingiustizie è sgorgata una passione, sostenuta anche dal fatto che, a partire dalla seconda missione, ho cominciato a verificare progressi e casi di "rinascita". E poi la mia è stata quasi un'esperienza al contrario: se oggi sono primario del servizio di Telemedicina a Roma, lo devo all'Africa. Lì ho cominciato a mettere a punto e perfezionare il software per offrire un un servizio domiciliare alternativo al ricovero ospedaliero, che poi ho importato in Italia. Un esempio di cooperazione e globalizzazione buona».

D'altra parte l'Africa che emerge da queste pagine è spesso lontana dagli stereotipi occidentali: c'è violenza, c'è miseria, c'è corruzione, certo, ma anche un Continente che «a cinquant'anni dalla fine della colonizzazione sta vivendo un risorgimento, con un PIL del sette percento, trasformazioni rapidissime...».
Non a caso il sottotitolo recita "Cronache di viaggi di un medico euro-africano": «Europa e Africa hanno bisogno l'una dell'altra: noi possiamo ancora dare molto per combattere la mortalità infantile, ad esempio, e loro possono trasmetterci il senso di accoglienza.

Bartolo e il suo protagonista si presentano nella normalità, esprimendo all'inizio un senso di inadeguatezza, la voglia di lasciare tutto e tornare a Roma a metà della prima missione: «Il messaggio che spero emerga è che ciascuno, nella sua ordinarietà, può dare molto. Se non ho mai citato esplicitamente la Comunità di Sant'Egidio è proprio perché ciascuno possa identificarsi nel personaggio e nel suo percorso». E non c'è nulla che sortisca un effetto d'incoraggiamento più della gratitudine della gente, il vedere che tanti bambini cominciano a nascere sani, l'assistere alla formazione di una competenza e solidarietà locali: «Il prossimo libro, la continuazione di "La nostra Africa"», spiega Bartolo, «racconterà la storia dei malati che noi definiamo attivisti, i quali vanno nei villaggi a fare formazione e prevenzione. E' stato bello constatare, nelle ultime missioni, come il programma fosse ormai gestito quasi interamente dagli africani stessi».

Protagonisti del romanzo, insieme al medico alter ego di Bartolo, sono i bambini. «Mi hanno colpito fin dai primi giorni» confessa il medico-scrittore. «Avendo un bambino piccolo, ero continuamente indotto a fare paragoni fra questi bambini-adulti diffidenti, che quasi non sapevano nemmeno cosa fosse il gioco, e i nostri figli. Una delle esperienze più significative è stato vedere come il giorno dopo si sciogliessero, per il fatto di essere trattati come bambini e come esseri umani».

Paolo Perazzolo, Famiglia Cristiana

bottom of page